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DATA: martedì 16 luglio 2024

Preparati alla prova preselettiva Concorso Docenti su TastoEffeUno.it

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Bullismo e Cyberbullismo: due facce della stessa medaglia.

Mi ricordo all’età di quinta elementare, quando alcuni amici di classe aspettavano all’uscita di scuola altri compagni per dargliene di santa ragione perché durante le varie ore di lezione non gli avevano prestato il libro, la penna, la matita, l’album e così via dicendo. Quindi non c’è da meravigliarsi se oggi viene evidenziato da più parti un comportamento del genere. Con l’avvento della tecnologia informatica, a disposizione degli adolescenti, oltre alle mani, spesso viene utilizzato il cellulare, il personal computer, i social ecc… per denigrare l’amico di classe o altri coetanei della stessa età. Questa nuova forma di Bullismo è chiamata Cyberbullismo. Le vittime che si attestano intorno al dieci per cento, sono ragazze e ragazzi di una fascia di età compresa tra i dieci ed i quattordici anni; poi la percentuale scende. L’obiettivo dei bulli è quello di dare fastidio, a tutti i costi, fuori dall’ambiente scolastico i loro coetanei più deboli. Alcune volte, l’atto si concretizza dentro le scuole, molte volte, fuori dall’ambiente scolastico. Sta all’educatore, all’insegnante, in qualità di figura di riferimento, dare consigli utili a chi subisce queste violenze ed anche a chi provoca tale comportamento diseducativo per tutti gli altri della stessa classe. Occorre dare consigli appropriati, suggerimenti positivi in entrambi i casi affinché si possa vivere in una società migliore. Se da una parte sono gli insegnanti ad educare, dall’altra abbiamo i genitori, il mondo associativo che gli adolescenti frequentano. Anche loro devono fare la loro parte. Non si può e non si deve delegare tutto alla Scuola. Nel caso in cui gli autori di misfatti attraverso il web: post, video ecc… è bene sporgere denuncia alla Polizia Postale in modo che possano individuare gli autori della pubblicazione e procedere di conseguenza. Il corso è stato preparato non solo per gli insegnanti che stanno a contatto con gli alunni per cinque o sei ore al giorno ma potrebbe essere di aiuto ai genitori, ad operatori e a quanti hanno a che fare con gli adolescenti. L’iscritto che partecipa a questo percorso formativo e di aggiornamento “on-line” o “in presenza” è tenuto a formulare due considerazioni personali (POST) ed a inserirli in questo FORUM ASSODOLAB dopo essersi opportunamente registrato.

DATA: 11/06/2018 - Autore Prof. Agostino Del Buono - Post 296

COMMENTI - PAGINA 8

DATA 18/07/2018 18:42:11 - AUTORE MarioH501T

Osservando i video del corso di formazione Advanced su “Bullismo e Cyberbullismo” tenuto dal Prof. Ugo Avalle e leggendo gli interventi dei Colleghi corsisti nel Forum di discussione, sono riandato con la mente alle mie esperienze di insegnante e ho potuto notare come la fenomenologia del bullismo sia davvero complessa, riscontrando nella pratica quotidiana molti dei principi teorici illustrati dal Prof. Avalle. Concordo sul fatto che non esista un solo tipo di bullo e un solo tipo di vittima: bulli e vittime possono con i loro comportamenti agire in più ruoli e nelle loro dinamiche relazionali giocano una parte fondamentale i genitori. Riferisco un caso che mi è accaduto in questo ultimo anno scolastico, cambiando ovviamente i nomi dei ragazzi protagonisti della vicenda vissuta. Insegno materie letterarie in un liceo classico e quest’anno ho avuto una seconda classe del primo biennio, ossia una quinta ginnasiale. La mia classe era composta da una ventina di alunni, maschi e femmine, dell’età di quindici-sedici anni. Avevo già notato come un alunno, Fabrizio, solitamente attento e partecipe alle lezioni e dal carattere estroverso, si fosse improvvisamente ritirato in sé stesso, chiudendosi in una sorta di mutismo e non intervenendo più, come prima, nelle mie lezioni. La sua espressione era diventata, da un giorno all’altro, triste e preoccupata. Io lasciai correre la cosa finché il padre del ragazzo non venne a colloquio e mi raccontò che il figlio era stato aggredito, prima verbalmente e poi fisicamente, da un compagno di classe, Filippo. L’aggressione era nata da un diverbio in classe, per ragioni apparentemente futili (che neppure il padre sapeva spiegarmi bene), ed era proseguita fuori scuola: Filippo aveva seguito Fabrizio per strada fin quasi a casa, indirizzandogli insulti e frasi provocatorie, spintonandolo, prendendogli lo zaino e gettandoglielo a terra, e infine colpendolo con un pugno sul viso. Rimasi sorpreso della cosa, ma non troppo, anche perché avevo notato da tempo l’atteggiamento di Filippo in classe, caratterizzato da momenti di nervosismo verso i compagni e anche verso me stesso (soprattutto durante le valutazioni delle verifiche scritte e orali, perché lo studente aveva sempre qualcosa da eccepire o da contestare), ma rimasto sempre nei limiti di un comportamento educato e sostanzialmente corretto. Dopo aver ascoltato le lamentele del padre di Fabrizio (che, avendo notato l’aspetto stravolto del figlio non aveva tardato a farsi raccontare l’accaduto), avvertii dunque, com’era mio dovere, il docente coordinatore di classe e convocai il genitore di Filippo a colloquio per informarlo di quanto compiuto dal figlio. Si presentò la madre di Filippo, la quale seguì questa duplice strategia difensiva: scusandosi anzitutto per l’azione violenta del figlio, disse che anch’egli era stato provocato da Fabrizio, il quale aveva reagito – secondo la madre di Filippo – rispondendo a tono e insultando anch’egli Filippo fino a provocarne la reazione fisica. Poi aggiunse che, è vero, Filippo aveva scatti di nervosismo e un atteggiamento un po’ prepotente verso i compagni, ma ciò accadeva perché non era riuscito a stabilire un’amicizia sincera con nessuno dei compagni di classe. Filippo si sentiva deriso e sbeffeggiato alle spalle, aveva letto sulla chat di classe commenti poco simpatici nei suoi confronti e reagiva con nervosismo sia alle prese in giro dei compagni sia alla sua personale frustrazione per non essere riuscito a stabilire un’amicizia leale e sincera in classe. Anzi, secondo la madre, Filippo soffriva per questa chiusura dei compagni nei suoi confronti, si sentiva emarginato ed era caduto in depressione. Il vero Filippo, mi disse la madre, al di là dell’apparente ruvidezza dei modi, era un ragazzo dolce e buono, una pasta di pane, assolutamente incapace di far del male ad alcuno. Però il ragazzo, sentendosi incompreso dai compagni, era amareggiato e meditava addirittura di cambiare classe l’anno successivo. Dopo questo colloquio, fui informato dal padre di Fabrizio che egli aveva parlato con i genitori di Filippo e aveva ottenuto scuse e spiegazioni. Il caso venne portato nel Consiglio di Classe e noi docenti decidemmo di non comminare sanzioni disciplinari a nessuno dei due studenti, ma di osservare e riferire l’evolversi della situazione. L’armonia, dopo breve tempo, sembrò essersi ristabilita tra i due ragazzi e, in effetti, nel corso dell’anno non si registrarono altri casi di bullismo in classe. Vorrei ora soffermarmi, in un mio sintetico commento al caso sopra esposto, sul ruolo giocato dai personaggi in questa vicenda, per cercare di identificare i tipi dal loro comportamento e dai segnali che ho potuto cogliere. Premetto che i due ragazzi provengono da famiglie benestanti, senza preoccupazioni economiche. A mio avviso Fabrizio è la vittima vera e propria dell’aggressione: ragazzo tranquillo, equilibrato e studioso, mostrava sentimenti di ansia, preoccupazione e vergogna per l’accaduto. Il giudizio su Filippo non può prescindere da quello sul genitore, la madre. Si tratta, a mio avviso, di una madre iperprotettiva, che, pur ammettendo l’atto aggressivo di Filippo, ha inteso presentare il figlio nei panni anch’egli della vittima per giustificare il suo comportamento ed evitare possibili sanzioni disciplinari. Dal punto di vista della madre, avrei dovuto giudicare Filippo come un caso di alunno vittima dell’ostracismo ingiusto dei compagni e reagente con atteggiamenti aggressivi alla sua emarginazione in classe. Poteva forse anche trattarsi di un alunno con DOP, Disturbo Oppositivo Provocatorio, se non fosse che comunque Filippo aveva il suo seguito di ammiratori in classe e si compiaceva di ostentare talvolta, anche rispondendo a tono ai professori, un suo “potere”, una sua apparente “supremazia”, che nascondeva una sostanziale fragilità e debolezza di fondo. Quindi il mio convincimento è che Filippo fosse un vero e proprio bullo. L’aspetto più sintomatico di questa vicenda, a mio avviso, è però il comportamento della madre di Filippo: come avviene sempre più speso oggi, lungi dall’essere i “genitori quasi perfetti” auspicati da Bettelheim, molti padri e madri, di fronte agli insegnanti, sono pronti a giustificare e scusare i loro figli per ogni atto compiuto, ostacolando così l’azione educativa basata sull’armonico e sinergico rapporto Scuola-Famiglia e impedendo di fatto l’autentica crescita personale e caratteriale dei propri ragazzi. Supportati inconsapevolmente dai genitori, sostanzialmente conniventi, i piccoli bulli svilupperanno atteggiamenti sempre più aggressivi e antisociali.

DATA 18/07/2018 18:58:14 - AUTORE Anna Paola H501D

Facendo riferimento alle osservazioni precedenti credo che se, nonostante tutte le attività di prevenzione, di sostegno e i mezzi per denunciare e cercare di arginare un fenomeno così grave come il cyberbullismo, il fenomeno continua ad estendersi, una delle ragioni vada ricercata anche nella scomparsa dei “Garrone”, il bravo ragazzo del libro Cuore di De Amicis. Essere buoni, generosi, altruisti, prendere le difese del più debole non è un titolo di merito e tutta la “cultura” giovanile dei social, dei rapper inneggia alla morte, alla distruzione, alla rabbia, all’affermazione individualistica di un “io” soffocato dalla società e dalle strutture organizzate. Il “bel gesto” viene percepito come limitante e limitativo. Neppure la scuola oggi sa più incentivare e promuovere, anche attraverso letture e percorsi, il desiderio di essere “buono” per sentirsi profondamente libero e migliore. Gli adolescenti cercano il gruppo e al tempo stesso lo temono. Il gruppo è da sempre un rito iniziatico all’adolescenza, un passaggio obbligato per crescere, per affermarsi o, meglio, per adeguarsi ai modelli dominanti. I nostri giovani, però, hanno sostituito il desiderio di diventare adulti con quello di sopravvivere ad uno scenario sociale percepito senza certezze e senza futuro, in cui la legge del “branco”, intesa come l’affermazione del più forte, è il solo modo per non essere isolati. Il “buono”, invece, è isolato, è un ragazzo “fuori contesto”, troppo sensibile e vulnerabile per una società che ha dimenticato l’empatia e ha paura di soffrire. Gli adolescenti esaltano le proprie emozioni ma si vergognano dei propri sentimenti e nascondono le proprie vulnerabilità con atteggiamenti di sfida, improntati ad arroganza e spesso violenza. Educare alla bontà diventa, quindi, una sfida educativa da raccogliere e diffondere. A conclusione ricordo, solo a titolo esemplificativo, alcune iniziative finalizzate a promuovere gesti di bontà, come il premio nazionale “Livio Tempesta”. Non è casuale, infatti, che quest’anno, lo scorso marzo, sia stato conferito il premio a Giulia di Bella, studentessa di secondaria di Primo grado a Cesena per un caso di cyberbullismo. La ragazza, denunciando l’intenzione di suicidarsi di una sua amica perché vittima di pesanti vessazioni e minacce ad opera di due compagne di scuola in una chat di scuola, ha evitato un drammatico epilogo, vincendo il timore delle ritorsioni da parte del gruppo. Faccio riferimento, infine, all’iniziative legate al “Manifesto delle Parole non Ostili”: decalogo di parole/azioni/valori che promuovono la cultura della solidarietà e sostituiscono all’arroganza delle parole e dei gesti, il rispetto e la gentilezza, manifestazione tangibile nei modi, nei gesti e nell’espressioni della bontà.

DATA 18/07/2018 19:20:53 - AUTORE PinaB602R

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DATA 18/07/2018 19:21:48 - AUTORE PinaB602R

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DATA 18/07/2018 19:31:13 - AUTORE PinaB602R

Anche io concordo sull'importanza della scuola, sull'informazione, sulla conoscenza di sé e sulla forza che le vittime devono trovare all'interno, per parlare e farsi aiutare dagli adulti (insegnanti, genitori ...). Grazie a questi moduli-video, ho capito che prima di aiutare la vittima bisognerebbe aiutare il bullo, perché è una persona che, con il suo comportamento arrogante, prepotente richiede aiuto. I video mi hanno aiutato a comprendere certi comportamenti degli adolescenti con i quali mi trovo a confrontarmi in continuazione tra i banchi di scuola, atteggiamenti che prima sottovalutato o non comprendevo perché non ne eri a conoscenza.

DATA 18/07/2018 21:19:16 - AUTORE MariaritaB602N

Questo corso è stato molto interessante, perché mi ha permesso di capire come i "bulli" siamo anch'essi delle vittime; vittime della loro famiglia, della loro storia personale, spesso travagliata e conflittuale. Si tratta di ragazzi che hanno bisogno di essere aiutati, perché sono fragili, se non fisicamente almeno psicologicamente. Loro sono violenti, perché magari sono cresciuti nella violenza, lo hanno visto fare ai loro genitori o ad altri. Sono ragazzi che, fin dalla loro tenera età, soffrono di disturbi aggressivi-convulsivi. Insomma, ascoltando questi video, ho capito che un modo per aiutare le vittime di bullismo è partire proprio dall'aiutare i "bulli".

DATA 19/07/2018 16:56:21 - AUTORE Ivana

Vorrei invitare a riflettere sul fatto che molto spesso i genitori tendono a negare ciò che non vogliono vedere nei propri figli. Si arriva al punto in cui non si ascolta più il proprio figlio e si sottovaluta i suoi comportamenti, perché ansiosi e preoccupati per il lavoro o presoi dalle proprie beghe quotidiane. Uno degli errori più frequenti è quello di ignorare il silenzio del proprio figlio:chi non manifesta apertamente le sue preoccupazioni, la propria fragilità o le sue insicurezze non vuol dire che non le abbia Il bullo, come figlio, e' un ragazzo fragile , ha bisogno di ricevere sicurezza e affetto più degli altri ragazzi della sua età.

DATA 20/07/2018 11:19:27 - AUTORE Achille_B789G

Io faccio parte di una generazione che non ha avuto in mano gli strumenti informatici che oggi possiedono gli adolescenti, quindi mi sono ritrovato da adulto a imparare a usarli e in seguito come insegnante a dover gestire l’utilizzo di questi strumenti da parte degli alunni. Ho riportato in breve la mia esperienza soprattutto per evidenziare che la mia generazione ha messo in mano ai propri figli degli strumenti con enormi potenzialità ma anche delle criticità senza dare loro una adeguata formazione. Un po’ com’è successo inizialmente con l’introduzione del personal computer. Ne abbiamo sottovalutato i rischi e non abbiamo pensato che il cellulare così come il pc potessero essere utilizzati in modo improprio da chi fosse mal intenzionato. La rincorsa cui il consumismo ci ha costretto, non ci ha dato il tempo di riflettere come società su quali potessero essere gli effetti sulle persone, ancorché in età adolescente o addirittura preadolescente. Andando nello specifico, ritengo quindi che sia il bullo, sia il cyberbullo, sia chi subisce i soprusi del bullo, siano tutte vittime di una società in cui il relativismo ha fatto perdere certezze, in primo luogo alle famiglie. Da qui l’esigenza della scuola di oggi a fare rete con gran parte dei soggetti che hanno cura della formazione dei giovani così da scambiare esperienze, formarsi e nello specifico prevenire tutte quelle forme di disagio cui i giovani danno sfogo utilizzando svariate piattaforme online. La scuola, ritengo, dovrebbe essere la promotrice di questa rete sul territorio.

DATA 20/07/2018 17:04:55 - AUTORE Alessandra_C352C

Da quello che ho avuto modo di leggere e dalle esperienze fatte negli anni, sia da studentessa vittima di episodi di bullismo che da insegnante, mi sono resa conto che non è facile affrontare un problema come quello del bullismo, in modo particolare oggi in una società che invece di trasmettere valori sani come solidarietà, comprensione e tolleranza punta invece a sfornare dei "vincitori". Gli atti di violenza non solo sono tollerati ma sono, addirittura incoraggiati. Basterebbe aprire una pagina a caso di qualunque social network per capire che nel nostro mondo non c'è più spazio per il rispetto e la tolleranza. Non c'è PIù SPAZIO PER L'ALTRO. Per questo motivo diventa difficile affrontare questo problema. Il bullismo o , peggio ancora il cyberbullismo, in questo mondo non può che trovare un terreno fertile. Alessandra_C352C

DATA 20/07/2018 17:05:29 - AUTORE Alessandra_C352C

Da quello che ho avuto modo di leggere e dalle esperienze fatte negli anni, sia da studentessa vittima di episodi di bullismo che da insegnante, mi sono resa conto che non è facile affrontare un problema come quello del bullismo, in modo particolare oggi in una società che invece di trasmettere valori sani come solidarietà, comprensione e tolleranza punta invece a sfornare dei "vincitori". Gli atti di violenza non solo sono tollerati ma sono, addirittura incoraggiati. Basterebbe aprire una pagina a caso di qualunque social network per capire che nel nostro mondo non c'è più spazio per il rispetto e la tolleranza. Non c'è PIù SPAZIO PER L'ALTRO. Per questo motivo diventa difficile affrontare questo problema. Il bullismo o , peggio ancora il cyberbullismo, in questo mondo non può che trovare un terreno fertile.

DATA 20/07/2018 17:24:48 - AUTORE MARILENAL872C

Al termine del corso vorrei riprendere un’espressione menzionata dal prof. Avalle durante la lezione di inquadramento storico – culturale del bullismo, ovvero l’azione vicariante della scuola in mancanza della famiglia come prima agenzia educativa per un bambino o per un ragazzo. I nostri giovani sono esposti ai ritmi frenetici di cambiamento ma soprattutto sono iperstimolati da una società che tenta di promuovere il benessere fisico e il successo personale ad ogni costo. Le famiglie, immerse in questo clima di rincorsa verso uno status sociale che li rende omologati e accettati, non trovano il tempo da dedicare alle necessità non materiali dei loro figli ed anzi tentano di sopperire alle loro richieste di attenzioni colmandoli di beni materiali. I ragazzi si trovano così a dover affrontare da soli i cambiamenti che avvengono dentro di loro; cambiamenti legati al percorso adolescenziale e alle trasformazioni fisiche e psicologiche delle loro persone. La scuola dovrebbe intervenire e completare l’azione di supporto della famiglia ma non sempre riesce laddove manca un substrato familiare sul quale attecchire. E così si assiste sempre più ad un “disadattamento scolastico”, perdendo la scuola ogni possibilità di supporto per “l’autoaffermazione personale dello studente”. Questo disadattamento potrebbe essere imputato alla scarsa conoscenza da parte del personale scolastico delle sempre nuove problematiche afferenti al grande bacino dei bisogni educativi speciali, non tanto per la mancanza di professionalità o buona volontà dei docenti quanto per la solitudine professionale nella quale spesso si vengono a trovare.

DATA 20/07/2018 18:55:12 - AUTORE Anna1967

E' molto importante riuscire a far parlare e far confrontare i ragazzi su un tema così delicato come il bullismo e il cyberbullismo. Nel corrente anno abbiamo proiettato un cortometraggio “IO BULLO – cronaca di vita e cyberbullismo”, scritto e diretto da Christian Castangia, insegnante e pedagogista, al termine del quale abbiamo invitato i ragazzi ad esprimere liberamente un messaggio su bigliettini che poi sono stati letti e commentati insieme. I docenti hanno il compito di aiutare i ragazzi a manifestare il loro pensiero e a riflettere sulle conseguenze di un tema delicato come questo. Spesso i ragazzi si vergognano e tendono a non parlarne, ma se rassicurati, riescono a farlo e a riconquistare l'autostima e la serenità perse. Anna E281M

DATA 21/07/2018 10:45:10 - AUTORE maria71

L' uso incontrollato di internet e dei social network da parte di bambini e di adolescenti ha permesso il dilagare del cyberbullismo. Questo fenomeno , che spesso trova noi adulti impreparati, permette ai bulli di mascherarsi nascondendosi dietro l' anonimato e di diffondere pettegolezzi, foto, immagini, video imbarazzanti su internet . A volte le vittime sentono aumentare il loro senso di inadeguatezza , si isolano e , come ci insegna la cronaca , addirittura si tolgono la vita. Pertanto occorre creare un clima culturale e sociale positivo attraverso la collaborazione della scuola e della famiglia

DATA 21/07/2018 15:16:10 - AUTORE Alessandra_C352C

Alla fine del corso e dopo aver preso Visione di altro materiale su internet mi è comunque rimasto un dubbio. IN che modo può un insegnante avere la certezza che nella propria classe avvengano atti di bullismo? Sembrerà una domanda banale ma se ci si pensa bene non lo è poi così tanto. Io lavoro in una scuola superiore e gli adolescenti, come ha ben sottolineato il professor Avalle, a differenza dei bambini sanno bene come nascondere i loro problemi così come difficilmente parlano agli insegnanti degli atti di violenza subiti. So che compito dell'insegnante è osservare con attenzione i piccoli segnali che vengono lanciati dagli alunni ma non sempre questi stessi segnali sono chiari o comprensibili da tutti. Forse sarebbe bene che le scuole prevedessero obbligatoriamente dei corsi di formazione per tutti docenti perché il fenomeno del bullismo, oggi più che mai, è davvero allarmante.

DATA 24/07/2018 10:54:20 - AUTORE maria71

Attraverso le video-lezioni di questo corso e leggendo i commenti dei miei colleghi ho capito che occorre fare attenzione non solo alle vittime del bullismo, ma anche, e soprattutto, ai cosiddetti "bulli". il bullo di solito non ha molto autocontrollo, è impulsivo , non sempre riesce a rispettare le regole e, di conseguenza, ha anche un rendimento scolastico molto scarso, ha inoltre un forte bisogno di potere e cerca di attirare l' attenzione su di sè, Ma la forza ostentata dal bullo potrebbe essere solo una forza apparente, perchè a mio avviso chi è davvero forte non ha bisogno di dimostrarlo attraverso l' aggressività e la violenza. Pertanto la sua può essere interpretata come una richiesta di attenzione e di conseguenza di aiuto da parte del mondo degli adulti.

DATA 25/07/2018 07:56:05 - AUTORE MarioH501T

Come ho letto nel corso del Prof. Avalle, “l’estensione o riduzione del bullismo nella scuola dipende in parte dalla volontà e dal coinvolgimento degli adulti interessati, familiari ed educatori, che hanno la responsabilità di assicurare le condizioni migliori per lo sviluppo del bambino e di favorire la consapevolezza dei valori della socialità fin dall’infanzia.” Episodi di bullismo nella scuola sono oggi più diffusi di un tempo sia per la latitanza di figure educative sia per l’utilizzo precoce degli strumenti digitali, di cui i ragazzi non conoscono la potenzialità e gli effetti. Dietro il vissuto di un alunno coinvolto in episodi di prepotenza e violenza, bullo o vittima che sia, vi è spesso un padre assente, per divorzi, separazioni o perché troppo preso dalla sua attività lavorativa. Il figlio che cresce senza un padre accanto, che gli sia di guida e gli mostri che la vita è fatta non solo di acquisti ma anche di rinunce (i “no” che fanno crescere), non solo di vittorie ma anche di sconfitte e che le relazioni interpersonali (in particolare le amicizie) si basano sull’autenticità, sul rispetto e sulla fiducia reciproci, crescerà senza il principio di autorità e non avrà consapevolezza dei suoi diritti e doveri. Se non v’è un padre da rispettare, perché rispettare il docente o il compagno, magari quello che appare “diverso” o più debole? Il ragazzo verrà così abituato a non assumersi responsabilità e tenderà ad affermare sé stesso sugli altri con la prepotenza. Ma il padre assente ha un ruolo anche nel vissuto di un ragazzo vittima. L’assenza di una forte figura educatrice non darà al ragazzo quella sicurezza e quell’autostima che gli permetta di affrontare le relazioni con gli altri in modo corretto e di difendersi autonomamente dagli attacchi dei compagni bulli. È fondamentale, perciò, che il ragazzo non si senta solo nella famiglia, che sviluppi con i propri genitori un dialogo basato sull’ascolto attento e sulla comprensione, senza alcun timore di essere giudicato e colpevolizzato. Il ragazzo deve percepire da parte dei genitori e degli educatori la sensazione di sentirsi valorizzato, amato per la sua unicità. Sia i bulli che le vittime vivono situazioni nascoste di forte disagio personale, di bassa autostima, e l’unico modo perché il disagio interiore emerga e sia curato è il dialogo, ma il luogo privilegiato del dialogo deve continuare ad essere soprattutto la famiglia.

DATA 25/07/2018 20:11:51 - AUTORE Alessandra Spiga

Sono un'insegnante della scuola secondaria di primo grado. Nella mia esperienza lavorativa mi è capitato in diverse occasioni di dover intervenire per atti di bullismo. Alcune volte non me ne sono resa conto in prima persona, è stato il ragazzo vittima a denunciare in privato le prepotenze che subiva. Ciò a permesso a tutti i docenti del Consiglio di classe di poter intervenire per arginare il fenomeno, coinvolgendo non solo 'vittima' e 'carnefice', ma anche i genitori di entrambi i soggetti. In questa occasione il ragazzo vittima ha trovato in sé la forza per uscire dall'isolamento e dall'impotenza.

DATA 26/07/2018 12:17:33 - AUTORE FRANCESCAE974P

Gli adolescenti tutti i giorni rischiano di subire le conseguenze del cyberbullismo: dal flaming, ovvero quando si è vittime di messaggi aggressivi e volgari all'interno di una piattaforma o tra i commenti dei social network; possono essere oggetto di diversi messaggi di insulto, inganno, esclusione o diventare persino vittime di persecuzione. Uno dei motivi alla base dei pericoli della rete è a mio avviso l'anonimato: i bulli, coperti da un'altra identità o appunto dall'anonimato, ritengono di potersi spingere sempre oltre i limiti. La giornata Internazionale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ed altri momenti di dibattito e di riflessione possono essere utili a riflettere sul fenomeno del cyberbullismo e del bullismo, domandandoci quali sono le strategie da mettere in atto affinché tutti i ragazzi, più o meno piccoli, possano riconoscere i pericoli della rete e combatterli. Francesca E974P

DATA 26/07/2018 12:33:27 - AUTORE FRANCESCAE974P

Ritengo che il nemico numero uno del bullismo (e quindi del cyberbullismo) è il silenzio: è importante per ogni genitore ed anche per gli insegnanti riuscire a stabilire un rapporto di ascolto e di comunicazione col proprio figlio o con i propri studenti , tale che, in caso dovesse essere vittima di cyberbullismo, possa parlarne dal primo momento. Questo è l’ unico modo per prevenire le conseguenze fortemente pericolose, ed al contempo bisogna puntare ad un'appropriata educazione sentimentale ed emotiva. Prestare attenzione al proprio figlio, lasciandogli tuttavia il suo spazio, è fondamentale: è importante che sappia che il genitore c’è sempre e che, se in difficoltà, può trovare il sostegno psicologico di cui ha bisogno. In questo modo, il genitore/insegnante sarà in grado di cogliere anche i piccoli cambiamenti, indicatori del fatto che c'è qualcosa che lo preoccupa. A mio avviso ritengo che sia importante fargli capire i pericoli di una navigazione in rete, il postare immagini, foto, che non possono essere più cancellate. Invitarlo a non accettare l'amicizia sui social da parte di sconosciuti, ad esempio, o limitare il tempo che passa on-line offrendogli altri stimoli e attività che possano impiegare meglio le sue energie.. Francesca E974P

DATA 26/07/2018 23:38:53 - AUTORE Anna Paola H501D

Il bullismo è un atto di prepotenza e di violenza. Nel corso di formazione ASSODOLAB sono stati evidenziati i numerosi aspetti con cui può manifestarsi il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Un aspetto di non scarsa rilevanza del bullismo e del cyberbullismo è dato dall’esclusione del singolo da parte di un gruppo, sia virtuale (si pensi alla chat di classe ) che reale. Si tratta di un fenomeno sicuramente non violento ma dagli effetti devastanti nella crescita del giovane adolescente. Facendo mie alcune considerazioni del Prof. Avalle riguardo alla genesi e alle cause che determinano lo sviluppo dei processi empatici nel bambino, va tenuto presente che il modo di relazionarsi agli altri, più facile e immediato per alcuni, più complesso per altri, scaturisce non solo dai condizionamenti della famiglia e dell’ambiente ma anche dalla percezione individuale della realtà che si origina proprio nell’infanzia. Desiderio comune dei bambini è certamente quello di sentirsi accolti, amati, accettati e cercati dagli altri ma ciò non si verifica per tutti in modo uguale, anche a parità di condizioni ambientali. Per alcuni bambini relazionarsi agli altri è un processo spontaneo, naturale, che avviene senza nessuna fatica e non richiede regole da imparare: una sorta di prosecuzione naturale dell’affetto accogliente ricevuto dalla famiglia e proiettato al di fuori delle pareti domestiche. Per altri bambini incontrare gli altri è un compito difficile, una sorta di esteriorizzazione della paura di un mancato riconoscimento affettivo che, magari, non si è avuto o si è perduto anche da parte della famiglia d’origine. Ci sono altri casi in cui, invece, la condizione di una famiglia attenta, protettiva e preveniente nei confronti di tutti i bisogni del proprio figlio sviluppa false aspettative nel bambino, autorizzato a pretendere dagli altri le stesse attenzioni ricevute in famiglia. Una famiglia iperprotettiva custodisce il proprio piccolo tenendolo lontano il più possibile da ogni sorta di pericoli, e gli altri sono percepiti come una possibile minaccia. Il bambino, infine, che sta bene nel proprio mondo di giochi, affetti, circondato da una famiglia così rassicurante, svilupperà la sua dimensione sociale in maniera tutta “individuale”, sviluppando, nella fantasia, amici immaginari e scenari lontani dalla realtà. Queste sono solo alcune ipotetiche situazioni con cui il bambino dovrà fare i conti quando si confronterà con il mondo extra-familiare. Entrare nel gruppo, però, non significa solo saggiare le proprie capacità e attitudini empatiche, scoprire se si è “simpatici” o “antipatici”, se si avranno tanti amici, se si condurrà un’esistenza piuttosto isolata o se si sarà apprezzati solo da una cerchia ristretta, ma assume ben altro valore. Entrare nel gruppo significa guardarsi, per la prima volta, allo specchio, nello specchio della realtà, e percepire la propria immagine, le proprie doti e i propri difetti con gli occhi degli altri. Per alcuni bambini vedersi attraverso gli altri diventa un’esperienza traumatica: il bambino si può scoprire brutto, deficitario, antipatico, diverso da quello che credeva di essere. Per il bambino quell’immagine è una vera e propria “schedatura” che lo accompagnerà tutta la vita: potrà cambiare qualcosa del suo aspetto ma resterà sempre l’ “ex” di una situazione di esclusione e segregazione (“l’ex grassone” ad esempio). Ho usato il termine “schedatura” perché l’impietosa osservazione dei difetti e delle caratteristiche del “diverso” dal gruppo comporta inevitabilmente il giudizio e l’esclusione. Se il gruppo fosse aperto a tutti, d’altra parte, non sarebbe tale: sarebbe una comunità di partecipanti. Il gruppo costruisce la sua individualità sull’esclusione: è la personalità del leader, spesso il più forte o il più prepotente, a determinare la fisionomia del gruppo e con esso a fissare anche i criteri di esclusione. Si apre una vera e propria caccia all’elemento allotrio, all’intruso, all’estraneo, concepito come nemico, ossia un elemento la cui distruzione esalta, in termini di vittoria, l’assoluta e incontrastata supremazia del capo. Si pensi al romanzo di William Golding, Il Signore delle mosche, come esempio della ferocia di un gruppo di bambini abbandonati a se stessi, dopo il naufragio su un’isola deserta. Il bambino escluso dal gruppo non è in grado di comprendere la logica ferina del “branco” e ogni volta che proverà a confrontarsi con gli altri, a interagire in contesti che richiedono abilità sociali, financo da adulto negli ambiti lavorativi, partirà svantaggiato. Affiorerà sempre in lui la radicata e introiettata convinzione di essere un “diverso”, un escluso, un individuo a cui, per i suoi difetti o per le sue mancanze, è stata minata per sempre la fiducia di vivere serene relazioni sociali. Recuperare l’autostima in questi casi è davvero molto difficile perché le situazioni tendono a ripetersi, una volta innescato un processo di esclusione, in ambienti e in contesti diversi, proprio per l’inibizione condizionata e condizionante del soggetto escluso. Concludo portando casi relativi all’esclusione dal gruppo che si verificano, spesso, nelle chat di classe. L’elemento leader impone agli iscritti alla chat di escludere e non parlare con uno degli elementi del gruppo per una serie di ragioni spesso legate a questioni di rivalità e gelosie nell’ambito scolastico e/o delle amicizie. La vittima soffre per essere stato, a sua insaputa, escluso: non avrà più amici in classe e sarà deriso anche in altre chat, perché il web amplifica, come ben noto, certe notizie. Inevitabile per l’escluso provare sentimenti di dolore, amarezza, frustrazione e soprattutto di vergogna e colpevolizzarsi per la forzata esclusione. Il compito dei genitori e degli educatori, in questi casi, non è semplice. L’imposizione al gruppo, da parte degli adulti, dell’elemento escluso rischia di amplificare i sentimenti di ostilità verso la presenza imposta del compagno, percepito, così, come ancor più sgradito perché protetto. Invitare il ragazzo escluso ad adattarsi al gruppo, assumendo un comportamento “mimetico”, se può riuscire utile come esercizio di tolleranza e resilienza, può rischiare di indebolire ancor più la già fragile autostima. In alcuni adolescenti vittime di esclusione si rafforza la convinzione che l’unico modo per sopravvivere al gruppo sia quello di imparare a subire o fingersi insensibili a tutto. Lavorare preventivamente sulle dinamiche di gruppo si rivela la strategia migliore, a condizione che si rappresenti la classe come un gruppo imposto, un gruppo che non riflette, in modo assolutistico, la dimensione sociale con cui ci si confronterà nella vita. La classe è un luogo di socializzazione che con le sue conflittualità potrà aiutare il singolo a interagire con gli altri ma anche a proteggere la propria individualità nel caso di contesti ostili. Al tempo stesso l’educatore deve promuovere dinamiche di gruppo capaci di creare un gruppo in cui l’esclusione non è rivolta verso i partecipanti del gruppo ma verso gli elementi sentiti estranei al patrimonio ideativo del gruppo (intendo interessi, mode, gusti). Credo, inoltre, che insistere ostinatamente sull’unità di classe possa essere rischioso per quei soggetti che sono a rischio di emarginazione. L’obiettivo primario, quindi, deve essere quello di promuovere un gruppo di apprendimento in cui condizione indispensabile per ottenere risultati in un’ottica di miglioramento sia quella del working progress, realizzabile solo nel rispetto di tutti i componenti. L’accettazione dell’escluso diventa quindi funzionale all’efficacia dello sviluppo individuale dei processi d’apprendimento, che non può prescindere da una corretta integrazione e interazione con tutte le componenti sociali e ambientali, in altri termini promuovere una dimensione sociale aperta e flessibile, capace di superare aprioristici e personali pregiudizi. Alla dimensione empatica non sempre, come si è detto, riscontrabile in tutti gli alunni, si viene a sostituire una dimensione comunitaria, quella che viene altresì indicato come promozione della cittadinanza attiva.

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